Lo psicologo svedese Dan Olweus, esperto in materia, definiva il bullismo come comportamento aggressivo intenzionale; azioni “vessatorie” persistenti nel tempo; uno squilibrio di forza/potere nella relazione, dove la vittima è incapace di difendersi.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto superiore di Sanità, in Italia, circa il 15% degli adolescenti ne è stato vittima almeno una volta nella vita. Di cosa si tratta e quali conseguenze può avere?
Ne abbiamo parlato con la dott.ssa Ylenia Canavesio, psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva di PsicoCare.
Come si può manifestare il bullismo?
Il bullismo può manifestarsi in diversi modi e verificarsi ovunque (a scuola, nei centri di aggregazione, a casa o sul web), tramite:
· attacchi fisici (calci, percosse e spintoni)
· attacchi verbali (insulti, prese in giro, minacce e altre forme di intimidazione o esclusione)
· vessazioni indirette (diffondere voci ed esclusione sociale)
Generalmente, il bullo tende ad agire di nascosto, lontano dagli occhi e dal controllo degli adulti, anche se spesso cerca degli spettatori (i pari) che possano ammirare la sua condotta.
Cosa si intende per cyberbullismo?
Il cyberbullismo è una nuova forma di bullismo che utilizza Internet e le tecnologie digitali per manifestarsi con un impatto ancor più forte.
Una volta, infatti, il bullo era confinato soprattutto a scuola, oggi invece, grazie alle potenzialità e alle risorse offerte dalle app di messaggistica e dai social media, può arrivare ovunque, in qualsiasi momento, con un accesso costante alle vittime, senza limiti di tempo e spazio.
Inoltre, il cyberbullismo fornisce l’anonimato al bullo, allenta molti freni inibitori, indebolendo le remore etiche e amplificando la ferocia dell’aggressione (i bulli non possono vedere le reazioni delle loro vittime, per questo c’è meno rimorso e risulta più facile infliggere dolore e sofferenza agli altri).
Chi è più a rischio di bullismo?
Gli studi recenti affermano che il bullismo raggiunge un picco tra gli 11 e i 13 anni (coinvolgendo entrambi i sessi allo stesso modo) per poi diminuire man mano che i ragazzi crescono.
Quali sono le cause del bullismo?
Le cause che portano al bullismo non sono sempre facili da individuare e nella maggior parte dei casi hanno un’origine profonda. Possono essere legate a sentimenti di gelosia, invidia o inadeguatezza da parte dell’autore di questi gesti, derivare da problemi di gestione della rabbia o da una difficoltà a controllare gli impulsi.
Generalmente, il bullo è un soggetto fragile, sofferente, il cui comportamento è il riflesso di questa fragilità.
I ragazzi possono fare i bulli per differenti ragioni:
· per sentirsi potenti e avere il controllo della situazione e stabilire un dominio sociale;
· per affrontare sentimenti di rabbia o paura;
· per assecondare la pressione dei pari;
· perché hanno poche competenze sociali e capacità di autocontrollo;
· per affrontare problemi di autostima e fiducia;
· perché sono stati essi stessi vittime di bullismo o di violenza.
Che differenze ci sono tra bulli maschi e femmine?
La differenza principale tra maschi e femmine è nel modo in cui viene messo in atto il comportamento disfunzionale: i ragazzi sono per lo più protagonisti di aggressioni dirette e fisiche; le ragazze, invece, tendono a ferire gli altri attraverso la prevaricazione e la violenza psicologica, colpendo così la sfera più intima della vittima.
Chi sono i bullizzati?
Bambini insicuri che acconsentono facilmente alle richieste del bullo e che non sempre sono in grado di farsi valere o denunciare: secondo le statistiche di Indicators of School Crime and Safety (2018), solo il 20% dei bullizzati denuncia gli episodi di bullismo scolastico per vergogna, timore di sentirsi deboli o paura di peggiorare la situazione.
Cosa possono fare i genitori?
La prima cosa che un genitore può fare è quella di prestare attenzione ad eventuali segnali di cambiamento nel bambino, sia dal punto di vista fisico che psicologico e comportamentale. Essere vittima di bullismo, infatti, può portare a ripercussioni e vissuti psicologici profondi, specie per chi soffre in silenzio, tenendosi tutto dentro, per paura di denunciare l’accaduto. Un malessere che in certi casi può condurre alla comparsa di sintomi psicosomatici (come risposta fisica ad un disagio psicologico) o ad una sintomatologia più importante a lungo termine.
La vittima di bullismo può manifestare:
· maggior stress o ansia, come agitazione, difficoltà legate al sonno, disattenzione o scoppi d’ira
· veri e propri sintomi fisici, come cefalea, vomito e mal di pancia senza che sia presente un reale riscontro medico di malattia
· calo improvviso del rendimento e a un impoverimento delle relazioni con i compagni (a scuola)
Tuttavia, non sempre le vittime di bullismo mostrano esplicitamente il disagio vissuto.
Tale sofferenza non è però unidirezionale. Secondo uno studio condotto dall’Association for Psychological Science i danni psicologici che si ripercuotono sulle vittime di bullismo spesso riguardano anche i bulli che hanno maggiori probabilità di soffrire durante l’età adulta.
Come si può contrastare il bullismo?
La famiglia e gli educatori rivestono un ruolo chiave nella lotta contro il bullismo. Il primo passo potrebbe essere quello di:
· allenare le abilità sociali e relazionali e i comportamenti prosociali dei bambini (per esempio, insegnando l’empatia e la cooperazione tra pari ma anche assertività, gestione dei conflitti e delle paure relazionali);
· aiutare i bambini di sviluppare fiducia nelle proprie capacità, rinforzando le loro qualità, insegnandogli ad accettare le loro fragilità e insicurezze come fatti normali e non diminutivi;
· condividere in famiglia un sistema di valori basato sull’ascolto, sul rispetto dell’altro e sulla valorizzazione delle differenze.
Sono risultati fondamentali i progetti di prevenzione a supporto di quei bambini che già alla scuola dell’infanzia sono a rischio di isolamento e vittimizzazione.