Da oggi, prendersi cura del proprio benessere emotivo non è mai stato così semplice. Gli psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, neurologi e neuropsicologi della squadra di Humanitas, presentano PsicoCare: un nuovo sito internet che permette al paziente di entrare in contatto, sia in presenza che online, con l’intera équipe dedicata alla salute mentale, con l’obiettivo di garantirgli un miglior accesso alle cure e una risposta più veloce e personalizzata per ogni singolo problema.

Vuoi saperne di più? Esplora il nuovo sito e rispondi al questionario per trovare il tuo professionista.

Perché è importante il benessere emotivo?

Secondo l’ultima indagine condotta da Ipsos (Global Health Service Monitor 2023), i problemi di salute mentale – tra quelli che affliggono maggiormente il nostro Paese – rappresentano la principale fonte di preoccupazione degli italiani (dopo il cancro e il COVID-19), evidenziando un incremento del 17% rispetto alla precedente rilevazione del 2018.

Ma cosa si intende per problemi di salute mentale? Il malessere emotivo non è sempre la conseguenza di una determinata patologia ma può essere più comunemente legato a momenti e situazioni difficili che ognuno di noi può trovarsi ad affrontare nel corso della propria vita, come un trauma, una brutta notizia, una relazione complicata, una perdita o lo stress sul lavoro. Basti pensare che sono nell’ultimo anno, oltre un italiano su quattro ha dichiarato di non essere andato a lavorare per un determinato periodo di tempo proprio a causa dello stress (31% – Ipsos Global Health Service Monitor 2023).

Le ragioni possono essere tantissime, più o meno gravi, poco importa: non bisogna affrontarle da soli. Quando sentiamo che le nostre risorse personali non sono sufficienti ad affrontare una determinata situazione, è importante chiedere un aiuto professionale, non solo per superare il problema ma anche per aiutarci a comprenderlo, imparando a sviluppare, potenziare e sfruttare al meglio le nostre risorse personali nel lungo periodo.

Non bisogna vergognarsi a chiedere aiuto, anzi: è il primo passo che possiamo compiere per il nostro benessere mentale.

Un’intera équipe a disposizione del tuo benessere emotivo

Il nuovo sito PsicoCare ha l’obiettivo di rendere questo “incontro” più semplice e intuitivo, mettendo a disposizione dei pazienti tutte le risorse necessarie per prendersi cura del proprio benessere emotivo: articoli, news, interviste, eventi gratuiti e campagne di prevenzione, a cura dei nostri professionisti per garantire una risposta qualificata ad ogni preoccupazione, paura o sentimento negativo legati alla sfera emotiva.

Un questionario ti aiuterà a comprendere meglio i tuoi bisogni, per offrirti un modo più semplice di iniziare il tuo percorso verso il benessere emotivo.

In cosa consiste il questionario Humanitas PsicoCare?

“Il primo incontro con un esperto di salute emotiva è un momento cruciale per le persone che con coraggio accettano di mettersi in gioco” – spiega il dott. Michele Cucchi, direttore Aree Mediche di Humanitas Medical Care.

“Comprendere a fondo il disagio e sentirsi compresi come persone non è affatto facile. Il rischio è di aver compiuto un grande sforzo emotivo, vincendo lo stigma e le paure legate a queste forme di disagio, e vederlo vanificato perché non ci si sente capiti e supportati nel percorso. La letteratura scientifica dimostra che prendersi cura del collegamento tra le aspettative di ogni persona e le competenze e caratteristiche del professionista è fondamentale.

Per questo abbiamo creato un questionario che rende più facile questa combinazione, e grazie alle diverse competenze del team siamo in grado di offrire un approccio su misura fin dal primo contatto”.

Come funziona il questionario Humanitas PsicoCare?

Il questionario, grazie ad alcune semplici domande, permette agli specialisti di individuare il tipo di paziente e quali sono i problemi che lo affliggono.

Condividendo le tue esigenze, gli obiettivi e le preferenze personali, ci aiuterai a capire meglio chi sei e cosa cerchi. Confrontando le tue risposte con le competenze dei nostri professionisti saremo in grado di offrirti le figure più adatte ai tuoi bisogni, tra gli psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, neurologi e neuropsicologi che compongono la nostra squadra.

Successivamente, attraverso un primo colloquio, potrai approfondire ed esplorare meglio le tue necessità e i tuoi bisogni, costruendo insieme ai nostri medici e professionisti un percorso che sia davvero efficace e adatto a te. Basta un clic.

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La dipendenza dai Social è una condizione caratterizzata da un’eccessiva preoccupazione riguardo a ciò che accade all’interno dei social media che spinge l’individuo a connettersi in modo incontrollabile più volte al giorno, a qualsiasi ora.

Sebbene non rientri ancora nei disturbi mentali del manuale psichiatrico redatto dall’American Psychiatric Association (DSM 5) – che fa riferimento più in generale alla dipendenza da internet, la Internet Addiction Disorder (IAD) – questo non significa che il fenomeno non esista ma che semplicemente è ancora in fase di studio.

La dipendenza dai Social, infatti, è una questione reale con una sintomatologia spesso simile a quella dei pazienti che presentano altri tipi di dipendenza. 

Ce ne parla il dott. Pietro Ramella, Psicologo e Psicoterapeuta presso gli ambulatori Humanitas Medical Care Domodossola e De Angeli a Milano.

Come faccio a capire se sono dipendente dai Social? 

Per riconoscere la dipendenza dai Social è possibile utilizzare gli stessi criteri che vengono normalmente impiegati per diagnosticare tutte le dipendenze, ovvero:

1. scadimento funzionale: la persona sacrifica il tempo e lo spazio normalmente dedicati al lavoro, allo studio, alle relazioni, all’alimentazione o all’igiene personale, per dedicarsi unicamente ai Social.

2. craving: se non ha telefono, il pc o il tablet a portata di mano per poter accedere ai social, la persona si sente a disagio e avverte il bisogno costante di ricercare un qualsiasi strumento che gli permetta di connettersi ad internet. Un processo molto simile a quello che avviene per altre dipendenze come quelle riguardanti alcol, sostanze, cibo e gioco d’azzardo.

3. tolleranza: la voglia di usare i Social e quindi il concetto di craving può coprire inizialmente pochi istanti al giorno, ma con il passare del tempo, la persona avrà sempre più bisogno di utilizzare queste app per soddisfare questo desiderio irrefrenabile, trovandosi così, con il passare del tempo, a stare davanti a pc, tablet e smartphone anche per molte ore al giorno, talvolta anche la notte, per poter ottenere la stessa soddisfazione che prima veniva ottenuta in pochi minuti di social: la persona sente il bisogno di passare sempre più tempo sui Social, così come avviene nella maggior parte delle dipendenze. 

Chi sta sempre sui Social?

Da strumento di aggregazione, i Social sono diventati sempre più una vetrina di personaggi e modelli da seguire ed emulare, al punto da diventare veri e propri strumenti di marketing e pubblicità, più che ‘luoghi’ di socializzazione. Si potrebbe ipotizzare, così come per le altre dipendenze, che il fattore genetico, insieme al contesto di vita del soggetto, rappresenti un fattore di rischio: alcune persone possono essere infatti più ‘vulnerabili’ a qualcosa rispetto ad altre, e questa vulnerabilità potrebbe interagire con il contesto in cui vivono (scuola, casa, lavoro, hobby, relazioni interpersonali in generale e tutte le esperienze sociali legate a questi contesti).

Perché le persone stanno sui Social?

Così come avviene per altre dipendenze, come il gioco d’azzardo, gli individui pubblicano contenuti sui Social con l’aspettativa di avere un like (quindi una conferma) il prima possibile e nel maggior numero possibile.

Tuttavia, alcune persone dipendente dai Social potrebbero avere paura di perdersi qualcosa e di sentirsi quindi estromesse (così come avviene nella FOMO – fear of missing out, caratterizzata dal timore di essere ‘tagliati fuori)’ e per questo sentono la necessità di essere costantemente aggiornati su tutto ciò che accade per poterne parlare con i pari durante i momenti di aggregazione.

Con Social siamo diventati sempre più incapaci di annoiarci, poiché bombardati da uno stimolo sempre presente al quale possiamo accedere in qualsiasi momento e di cui non possiamo più fare a meno. Stimoli tuttavia esterni, che non abbiamo creato noi ma a cui ci affidiamo costantemente.

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Ci sono momenti e situazioni nel corso della vita che possono metterci a dura prova. Un trauma, una brutta notizia, una relazione complicata, un problema economico o, più semplicemente, una scelta difficile da compiere. Le circostanze sono tantissime. Più o meno gravi, poco importa. È il modo in cui le affrontiamo che deve indurci a riflettere sulla necessità di chiedere aiuto. Quando le nostre risorse individuali non sono sufficienti a risolvere una determinata circostanza, la figura dello psicologo può aiutarci non solo a superare il momento ma anche a capire come sviluppare al meglio le nostre risorse personali nel tempo. Quali possono essere queste situazioni e perché il sostegno di un professionista potrebbe aiutarci? Lo abbiamo chiesto alla dott.ssa Paola Mosini, psicologa presso il centro Psico Medical Care di Humanitas.

Quando è il caso di andare dallo psicologo?

La figura dello psicologo può essere utile ad affrontare molte situazioni, specie quando i problemi ci impediscono di vivere serenamente o di sentirci bene. Non è sempre facile riconoscere il momento in cui chiedere aiuto. Alcuni dei motivi che potrebbero spingerci a farlo possono essere:

1. Lutto

Il fatto che la morte sia inevitabile non la rende più facile da affrontare. Ognuno può gestire la perdita di una persona cara (un genitore, un familiare, un amico o persino un animale domestico) in modo diverso, apertamente o privatamente, ma non bisogna evitare la realtà della perdita perché a lungo termine può portare a problemi più lunghi e persistenti

Uno psicologo può aiutarti a trovare i modi appropriati per affrontare la morte di qualcuno vicino a te.

2. Stress e ansia

Può capitare a tutti di vivere momenti o situazioni stressanti, come un colloquio di lavoro o un problema relazionale, che ci fanno sentire ansiosi e vulnerabili. L’ansia è una normale reazione fisiologica allo stress, ma se diventa invalidante, impedendoci di vivere serenamente la nostra quotidianità, può portare all’isolamento sociale o alla depressione.

Uno psicologo può aiutarti a gestire meglio le tue reazioni emotive, trovando strategie efficaci e mirate per ritrovare il benessere e una buona qualità di vita.

 3. Fobie

Tachicardia, disturbi gastrici, sudorazione. La fobia, ovvero la paura estrema, irrazionale e sproporzionata per qualcosa che non rappresenta una reale minaccia, può presentarsi in molti modi – le persone che soffrono di fobie sono consapevoli dell’irrazionalità della propria paura, ma non riescono a non provare certe sensazioni – che predispongono il soggetto ad attuare una risposta di ‘fuga’, a scappare, ma di fatto si tratta di una strategia patologica che tende solo a rinforzare il meccanismo patologico dell’ansia.

Uno psicologo esperto, dopo un’accurata valutazione, può aiutarti – impostando e condividendo con il paziente il progetto terapeutico – a iniziare a superare eventuali fobie in modo da poter vivere privo da condizionamenti.

4. Depressione

A differenza della tristezza, un’emozione che tutti sperimentiamo, annessa a sentimenti di perdita ma utile allo sviluppo del processo di rielaborazione (ci obbliga a rallentare e a prenderci del tempo per accettare la situazione che si sta affrontando), la depressione è una condizione clinica, che non deve essere mai sottovalutata (è stata dichiarata dall’OMS la prima causa di disabilità nel Mondo).

Umore deflesso, perdita di interessi, insonnia e ritiro sociale sono tutti sintomi con gravi risvolti in termini di salute e di compromissione della qualità della vita. 

Uno psicologo può aiutare la persona a capire la gravità della situazione emotiva che sta vivendo, formulare una diagnosi adeguata e indirizzare il paziente verso il percorso terapeutico ottimale.

5. Problemi relazionali

A volte, per affrontare problemi e difficoltà nella gestione del rapporto di coppia, nell’ambito della genitorialità o della vita lavorativa, è necessario chiedere un aiuto esterno, affidandosi ad una persona “neutrale”, che possa guidare gli individui nella risoluzione dei problemi relazionali, e se necessario approfondire i meccanismi patologici legati a temperamento e al carattere che possono essere spesso origine di problemi ricorsivi.

6. Abitudini e dipendenze malsane

Alcune persone adottano comportamenti malsani, come abbuffarsi di cibo (per consolarsi), bere alcol (come potente tranquillante), fumare e drogarsi, per “gestire” vissuti negativi associati a momenti di stress, ma è estremamente pericoloso usare queste sostanze per “automedicarsi”, perché, oltre a determinare vari problemi di salute, questi comportamenti possono sfociare in vere e proprie dipendenze.

È fondamentale rivolgersi a uno psicoterapeuta competente quando ci si rende conto che si stanno strutturando comportamenti patologici.

Che aiuto può offrirmi uno psicologo?

Molte persone impiegano diverso tempo prima di decidere di affidarsi ad uno specialista perché spesso sono convinte di farcela da sole o che basta l’aiuto di una persona cara, con il rischio che nel frattempo le situazioni e i problemi si complicano. Non esitare a contattare uno specialista, valuterete insieme l’utilità (o meno) di un percorso psicologico.

In ambito psicologico si sono sviluppati nel corso degli anni diversi approcci e per le persone non è sempre scontato fare una scelta consapevole. Un primo colloquio può essere anche lo spazio per chiarire l’approccio psicoterapico più adatto alla persona e alla modalità di intervento.

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Negli ultimi anni, i casi di disturbi alimentari sono aumentati in modo esponenziale. Durante la fase dell’adolescenza, la bulimia nervosa, un disturbo che consiste nell’assumere grandi quantità di cibo per poi liberarsene tramite vomito indotto o lassativi, rappresenta una delle preoccupazioni più grandi, non solo perché è la più difficile da riconoscere (la maggior parte delle persone è di peso normale o anche leggermente sovrappeso), ma anche perché in Italia, la fascia d’esordio, si assesta tra i 15 e i 19 anni, rappresentando un problema di primaria importanza, poiché le conseguenze organiche della malattia possono portare a danni permanenti ai tessuti che non hanno ancora terminato lo sviluppo.

Ne parliamo con il dottor Andrea Catena, psicologo e psicoterapeuta presso l’ambulatorio Humanitas Medical Care Domodossola a Milano e Humanitas Medical Care Monza e specialista del centro Psico Medical Care.

Chi colpisce maggiormente la bulimia?

La bulimia tende a colpire maggiormente la popolazione femminile, in quanto più esposte a ideali di “magrezza” associati sempre più spesso a quelli di bellezza (a differenza dei maschi dove la “bellezza” è collegata maggiormente alla tonicità muscolare) ma non solo. Anche l’esposizione ai media, l’interiorizzazione di un modello di corpo ideale o la pressione sociale, rappresentano fattori di rischio per l’insorgenza e l’aggravamento di un disturbo alimentare, così come lo sviluppo puberale, il momento nel quale il cambiamento delle proporzioni corporee femminili è più netto. 

Non vanno quindi tralasciati i fattori genetici, ormonali e neurobiologici. Uno di questi potrebbe essere il ruolo degli ormoni sessuali nella regolazione della serotonina (un neurotrasmettitore cerebrale che svolge un ruolo chiave nella regolazione dell’ansia, del tono dell’umore, dell’impulsività e delle sensazioni di fame e sazietà). Alcuni studi hanno rilevato che nelle femmine (ma anche negli animali di sesso femminile) la reazione allo stress produce più frequentemente un’alterazione del comportamento alimentare. Per questo, la bulimia può essere spiegata tramite un modello bio-psico-sociale che prende in esame la persona nella sua interezza nelle sue componenti biologiche, psicologiche e sociali.

Quali possono essere i fattori di rischio della bulimia?

Non esistono fattori di rischio collegati direttamente allo sviluppo della malattia, ma possono esserci delle concause che possono contribuire al suo sviluppo, come:

  • familiarità con disturbi del comportamento alimentare o depressione
  • abuso di sostanze
  • eventi traumatici o malattie croniche
  • insoddisfazione della propria immagine corporea, unita a scarsa autostima e perfezionismo
  • comportamenti dietetici persistenti
  • sovrappeso/obesità durante l’infanzia
  • episodi di bullismo per la propria forma fisica
  • social network.

Sebbene i social network non possano essere identificati come unica causa dei disturbi alimentari, vi sono alcune problematiche strettamente connesse, come il body shaming, che potrebbero incidere negativamente sull’autostima della persona e sulla percezione che ha del proprio corpo. Inoltre, molto spesso, sui social, la bellezza è improntata su un’estetica lontana dalla salute, fattore che potrebbe contribuire – seppur inconsciamente – a normalizzare condotte alimentari disadattive. Anche l’utilizzo delle videoconferenze o della DAD, sebbene abbia reso possibile lo svolgimento di molte attività per lavoratori e studenti, può aver contribuito ad aumentare le preoccupazioni per il proprio aspetto (è come se ci “guardassimo allo specchio” ripetutamente mentre parliamo con altre persone). Inoltre, durante il lockdown si è assistito a un incremento del download di app per la salute e il fitness, insieme ad una maggior preoccupazione per la salute e la forma fisica.

Quali sono i campanelli d’allarme della bulimia?

Come dicevamo, i segni di bulimia non sono sempre immediatamente riconoscibili. Tuttavia, alcuni di questi potrebbero essere:

  • Aver paura di ingrassare
  • Essere preoccupati per il peso e la forma del corpo
  • Non piacersi e vergognarsi ad uscire in pubblico
  • Non riuscire a controllare il proprio comportamento a tavola
  • Praticare attività fisica eccessiva
  • Costringersi a vomitare o utilizzare lassativi, diuretici o clisteri per eliminare il cibo ingerito andando spesso in bagno durante o dopo i pasti
  • Limitare le calorie o evitare certi cibi.

Cosa fare in caso di sospetta bulimia?

Generalmente, chi soffre di bulimia tende a nascondersi perché prova vergogna, abbuffandosi in solitudine per molto tempo, senza che la famiglia ne sia a conoscenza, fino a quando la persona non confessa la propria difficoltà con il cibo, perché sente che le strategie di controllo che ha provato a mettere in atto non funzionano.

In questi casi, è opportuno parlare con la persona in privato, cercando di essere gentili e delicati, incoraggiandola a cercare aiuto da un professionista esperto di tali problematiche e condividendo con lei la nostra preoccupazione. Uno psicoterapeuta potrà darle una spiegazione del meccanismo che la sta intrappolando e, successivamente, offrirle strategie per superarlo.

Se siamo i genitori di una figlia che soffre di bulimia nervosa, spesso cerchiamo i perché, iniziando a domandarci dove abbiamo sbagliato. Tuttavia, colpevolizzarsi non serve a niente, anzi spesso è controproducente. Così come non serve avere un atteggiamento di critica o un’elevata aggressività, perché sono atteggiamenti possono portare a sviluppare un clima familiare disfunzionale che può aggravare o mantenere il disturbo alimentare.

Allo stesso modo è importante non colpevolizzare la persona. La bulimia nervosa, come gli altri disturbi dell’alimentazione, non sono affrontabili con la semplice forza di volontà. Serve prima di tutto conoscenza di quelli che sono i meccanismi che mantengono la problematica. Solo a partire da questa consapevolezza e con gli strumenti adeguati, è possibile affrontare la malattia.

Non tenere cibo in casa o addirittura tenere chiusa a chiave la dispensa, sono tutte strategie inutili che anzi incentivano la persona che soffre di bulimia a ricercare ancora più in segreto del cibo.

Che tipo di lavoro può fare lo psicologo in caso di bulimia?

Il trattamento per i disturbi del comportamento alimentare, come la bulimia, è un trattamento multidisciplinare che coinvolge diverse figure (come medico psichiatra, medico internista, biologo nutrizionista, psicoterapeuta), in grado di cogliere la complessità del sintomo.

Generalmente, il lavoro dello psicologo inizia focalizzandosi sulla gestione della fase “acuta” del disturbo dell’alimentazione (come ad esempio lavorare sulla diminuzione degli episodi di digiuno, di vomito e/o di abuso lassativi e della frequenza delle crisi bulimiche); successivamente, la terapia si pone l’obiettivo di affrontare tutte le problematiche che presentano una connessione con il disturbo dell’alimentazione e soprattutto le difficoltà familiari e relazionali (come la mancanza di assertività), lo sviluppo di una fragile autostima e le possibili cause che hanno favorito il disturbo dell’alimentazione.

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