Il Binge Eating Disorder (BED), detto anche disturbo da alimentazione incontrollata, è un disordine alimentare piuttosto diffuso. Indica episodi in cui, in un tempo relativamente breve, si assumono grandi quantità di cibo, “abbuffandosi” in modo incontrollato, anche senza avvertire lo stimolo della fame. Vere e proprie perdite di controllo accompagnate da stati depressivi e disagio psicologico, senso di colpa e vergogna. Ce ne parla il dott. Andrea Catena, psicologo e psicoterapeuta di PsicoCare.
Come si riconosce il Binge Eating Disorder?
I criteri richiesti dal DSM-5 per la diagnosi del Binge Eating Disorder sono:
1. Ricorrenti episodi di abbuffata caratterizzati da:
– mangiare, in un determinato periodo di tempo (per esempio, un periodo di due ore), una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui mangerebbe nello stesso tempo e in circostanze simili;
– mancanza di controllo sul mangiare durante l’episodio (per esempio, sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa e quanto si sta mangiando).
2. Gli episodi di abbuffata sono associati a tre o più dei seguenti aspetti:
– mangiare molto più rapidamente del normale;
– mangiare fino a sentirsi sgradevolmente pieni;
– mangiare grandi quantitativi di cibo anche se non ci si sente affamati;
– mangiare da soli a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando;
– sentirsi disgustati verso sé stessi, depressi o molto in colpa dopo l’episodio.
3. È presente marcato disagio riguardo alle abbuffate;
4. L’abbuffata si verifica, mediamente, almeno due giorni a settimana per 6 mesi o almeno 1 giorno a settimana per 3 mesi.
5. L’abbuffata non è associata all’uso regolare di condotte compensatorie inappropriate (come digiuno o esercizio fisico eccessivo), e non si verifica esclusivamente in corso di bulimia nervosa o anoressia nervosa.
Inoltre, la persona adotta questo comportamento almeno una volta a settimana per almeno tre mesi o 2 giorni a settimana per 6 mesi.
La gravità del Binge Eating Disorder è classificata in:
· Lieve: da 1 a 3 episodi a settimana
· Moderata: da 4 a 7 episodi a settimana
· Grave: da 8 a 13 episodi a settimana
· Estrema: 14 o più episodi a settimana.
Che differenza c’è rispetto alla bulimia?
Chi soffre di Binge Eating Disorder non tende a compensare le abbuffate con vomito, digiuno, o altri comportamenti che consentano di controllare il peso, ma più comunemente, vive il momento successivo con una sensazione di sconforto. Non attuando comportamenti compensatori, il paziente tende inoltre ad aumentare di peso e, quindi, a presentare obesità o complicazioni a essa associata (come diabete II tipo, patologie cardiovascolari, disturbi gastrointestinali o malattie polmonari, in particolare le cosiddette apnee notturne)
Infine, il BED si verifica insieme ad altre patologie psichiatriche, come disturbi dell’umore, da panico e di personalità o depressione maggiore,
Cosa causa il Binge Eating Disorder?
Le cause del Binge Eating Disorder sono generalmente multifattoriali, ovvero legate a più fattori, come la famiglia, la vita sociale e lavorativa della persona.
Numerosi studi suggeriscono che i pazienti che soffrono di BED manifestano un eccesso dell’impulsività rispetto agli individui sani di peso normale; inoltre, l’eccesso di cibo è spesso una risposta ad ansia, solitudine, stanchezza e ad una più generale difficoltà nel gestire le emozioni (piacevoli o no).
Come viene diagnosticato il Binge Eating Disorder?
La diagnosi di Binge Eating Disorder richiede, oltre alla valutazione psicologica effettuata attraverso colloqui clinici e test psicologici, prevede anche un esame approfondito della condizione nutrizionale, dello stato fisico e della storia medica del paziente, insieme a test di laboratorio.
Come si cura il Binge Eating Disorder?
Per trattare il Binge Eating Disorder è necessario intervenire su più fronti, prendendo in considerazione il piano psicologico, medico-internistico e nutrizionale, intervenendo anche sullo stile di vita del paziente in cura con un approccio multiprofessionale che nasce da una stretta collaborazione tra medico, psicoterapeuta e biologo-nutrizionista.
Le Linee guida scientifiche (APA), suggeriscono l’approccio psicoterapeutico dialettico comportamentale (DBT) come terapia gold-standard nel trattamento di questo disturbo, poiché in grado di fornire al paziente strumenti pratici (skills) che consentono di imparare a riconoscere le proprie emozioni, comunicarle, trovando alternative più salutari per gestirle, senza necessariamente soffocarle nel cibo.