L’obesità non rappresenta solo un problema per la salute fisica (aumentando il rischio di malattie respiratorie o cardiovascolari, diabete e tumori) ma anche per quella psicologica, a causa di uno stigma sociale che da troppo tempo accompagna questa condizione. Sempre più spesso le persone che soffrono di obesità o sono in sovrappeso vengono discriminate a causa del proprio aspetto fisico (partendo dal presupposto, non dimostrato, che l’aumento del loro peso corporeo derivi da una mancanza di disciplina e forza di volontà), non solo all’interno della famiglia ma anche in ambito scolastico, professionale e sanitario.
Ce ne parla la dottoressa Paola Mosini, psicoterapeuta di PsicoCare.
Come viene considerata l’obesità dalla società?
Molto spesso la società considera le persone che soffrono di obesità non come vittime innocenti, ma come artefici della propria malattia, personalmente responsabili dei loro problemi di peso a causa della pigrizia e dell’eccesso di cibo. Un messaggio spesso lanciato dai media, con programmi o spot che tante volte rafforzano l’idea che il peso corporeo sia unicamente sotto il nostro controllo (bastano diete e attività fisica per restare in forma).
In che modo le persone con problemi di obesità vengono discriminate sul lavoro e nella sanità?
I soggetti che soffrono di obesità (o sono in sovrappeso), vengono spesso considerati privi di forza di volontà, deboli, pigri e negligenti.
Sul posto di lavoro, i salari sono più bassi e le persone sono spesso considerate meno qualificate ed efficienti rispetto ai coetanei normopeso (soprattutto le donne).
In ambito sanitario, i medici sono meno disposti ad offrire il loro tempo all’educazione e alla formazione sulla salute, e i pazienti colpiti da discriminazione, hanno minor beneficio dai trattamenti (minori offerta di cure, ritardo nell’accesso ai servizi) e maggiori probabilità di evitare cure future (l’obesità riduce persino l’aderenza agli screening per i tumori).
Nonostante l’obesità sia una malattia cronica multifattoriale, la persona che ne soffre viene ancora colpevolizzata di esserne l’unico responsabile.
A quali conseguenze può portare lo stigma dell’obesità?
Lo stigma dell’obesità può portare ad azioni di esclusione ed emarginazione: le persone vengono prese in giro a scuola, escluse dalle attività sportive, giudicate meno efficienti sul lavoro, hanno minor possibilità di trovare un/a compagno/a, non trovare abiti alla moda e, peggio ancora, non ricevere le cure mediche adeguate.
Inoltre, come dicevamo, questo stigma può avere forti ripercussioni psicologiche, portando alla comparsa di depressione, sintomi psichiatrici, disturbo dell’immagine corporea, bassa autostima, comportamenti alimentari disfunzionali, riduzione dell’attività fisica, aumento di peso.
Come evitare lo stigma dell’obesità?
Esistono una serie di azioni che possiamo mettere in atto per contrastare lo stigma, riconoscendo, prima di tutto, che l’obesità è una malattia (determinata da fattori genetici, biologici, psicologici ed ambientali) e che ci sono prove scientifiche che lo dimostrano; riconoscendo che il pregiudizio e lo stigma violano i diritti umani e non possono essere tollerati dalla società moderna.
Per combattere questa discriminazione, è necessario condannare l’uso di linguaggi, immagini e atteggiamenti (anche da parte dei media) che possono ledere queste persone, impegnandosi a trattarle con dignità e rispetto.